Robbie Williams: voglio essere a tutti i costi una pop star e non un cantante finito.
Esclusivo: Robbie Williams racconta a Metro la sua missione di scrivere la canzone pop perfetta e le sue speranze di rimanere sulla cresta dell’onda col nuovo album Take the Crown.
“Sono ossessionato… dalla musica pop, dall’essere una pop
star e non un cantante che ha fatto il suo tempo”.
Robbie Williams rilascia interviste senza sosta nella sua suite-attico di un Hotel Mayfair.
Il 38enne cantante/showman di Stoke-on-Trent ha attraversato
numerosi alti e basi e il suo corpo tutto tatuato si è fatto più muscoloso rispetto
a come si presentava negli anni 90, quand’era ancora coi Take That. Ma la sua
sete di successo non si è placata. I suoi occhi brillano quando dice di essere
sulle spine per quanto riguarda il destino del suo nono album dalle sonorità
spiccatamente pop, Take The Crown.
La fissazione di Robbie per la canzone pop perfetta (“croce
e delizia”) è alimentata dalla sua duplice natura da performer sopra le righe e
da appassionato di musica. Lo si nota lungo tutta la sua carriera da solista.
“Mi sono fatto un sacco di paranoie”, dice. “Nei primi
album, la voce che emergeva dal coro era “sei una merda”, nonostante le
centinaia di migliaia di persone che venivano a vedermi ai miei concerti.
Così ho pensato: “bene, è ora di darci un taglio e di fare qualcosa di totalmente diverso”.
Così ho pensato: “bene, è ora di darci un taglio e di fare qualcosa di totalmente diverso”.
Questo darci un taglio ha prodotto Rudebox
(2006), un album un pò infelice. Infatti il suo settimo album fu ampiamente stroncato, nonostante contenesse
alcune perle memorabili: She’s Madonna, nata dalla collaborazione coi Pet Shop
Boys; la cover di Lovelight di Lewis Taylor, un classico della musica soul
britannica.
'Io adoravo Rudebox”, dice. “Ma quando tutti hanno detto “no”, ho pensato “oh, ora non so proprio che fare…”
'Io adoravo Rudebox”, dice. “Ma quando tutti hanno detto “no”, ho pensato “oh, ora non so proprio che fare…”
Dopo alcuni anni “selvaggi” passati volontariamente lontano
dalle scene (trascorsi interessandosi morbosamente gli UFO), è stata la
volta della rimpatriata col rivale di un tempo, Gary Barlow e i Take That. Il
ragazzino che abbandonò la band nel 1995 ha dimostrato di essere una superstar
nell’album Progress dei Take That e nel tour degli stadi del 2011. Robbie
riconosce a Barlow & Co. i meriti della sua ritrovata autostima come
artista solista.
“Coi ragazzi sono successe un sacco di cose. Quella più
speciale è stata esserci chiariti riguardo al passato. Così, ho avuto i miei 27
minuti tutti per me in uno stadio, dove ho re-imparato a fare ciò che facevo. È
stata una bella botta di vita.”
Take The Crown segue in modo esuberante Il suo album da
solista del 2009, Reality Killed the Video Star, ed è frutto della
collaborazione con due musicisti di Melbourne, Tim Metcalfe e Flynn Francis, e
con Gary Barlow, co-autore del singolo di lancio, Candy.
“Penso di essere andato oltre al desiderio di fare qualcosa di veramente intellettuale”, dice, in modo non troppo convincente. “Sto anche accettando l’idea di essere una pop star un po’ attempata. Ricordo quando a 21 anni, vedendo George Michael, cha ha dieci anni in più di me, pensai: “si sta liberando un posto da star”. Quindi Harry Styles guardandomi penserà “ormai è in là con gli anni”.
“Penso di essere andato oltre al desiderio di fare qualcosa di veramente intellettuale”, dice, in modo non troppo convincente. “Sto anche accettando l’idea di essere una pop star un po’ attempata. Ricordo quando a 21 anni, vedendo George Michael, cha ha dieci anni in più di me, pensai: “si sta liberando un posto da star”. Quindi Harry Styles guardandomi penserà “ormai è in là con gli anni”.
Il debutto da solista di Williams, nel 1996, fu una fedele cover
di Freedom, l’inno di George Michael; sarebbe curioso ascoltare la cover di
Rock DJ di Harry un giorno o l’altro.
Il figliol prodigo di recente è anche diventato un padre
orgoglioso. Sua moglie, l’attrice americana Ayda Field, ha dato alla luce sua
figlia Teddy a settembre. Nonostante il lavoro da papà lo tenga occupato (“sono
l’incaricato al cambio del pannolino con la pupù”, dice sorridendo), Robbie non
si è distratto dalla sua missione.
“Continuo a controllare i commenti sotto il video di Candy
su YouTube”, dice. “Ci sono 31.000 like e 1.200 dislike, questo vuol dire che
ad una persona su trenta non piace e questo mi ossessiona.”
Di certo dovrebbe leggere qualcos’altro?
“Beh, Metro è un
altro fenomeno, non è vero? Ha una presenza online davvero notevole. Sta
lavorando alla grande. Mi sembra che possa crescere ancora. È strano, ma ne
sono orgoglioso. Metro sembra proprio in grado di farcela!”. E detto dal
ragazzo che è diventato il re degli stadi…
Qual è il miglior superpotere che la musica pop gli ha dato?
“Salire sul palco, fronteggiare le tue paure e la responsabilità che ognuno
ripone su di te per la propria vita. Mi ammiro molto per questo”, dice in una
fragorosa risata, “perché e terrificante ed esilarante”.
Williams ha conservato il suo charme del nord (tutto ciò che
dice è accompagnato da una piccola gomitata o da un ammiccamento), ma non
rinnega il fascino transoceanico di Take the Crown o la sua parlata
strascicata. “Ho desiderato essere tante persone in tutti questi anni,” dice. “Da Elvis a Bernard Sumner a Neil
Tennant, Jay-Z, Glenn Campell… Con tutti i grandiosi progetti di esibirmi
negli stadi, cantare con l’accento di Stoke non sarebbe stato il massimo.”
Take the Crown si chiude con l’interessante Losers, un
duetto con la cantante americana folk-rock Lissie, che vede Williams al tempo
stesso lottare per fare ancora meglio ed essere tipicamente l’opposto.
“Ci sono due strade,” dice. “Una è quella che mi vede far
uscire questo album e l’altra quella dove divento “questo tizio”. In
quest’altra ho una canna in mano, una mazza da golf nell’altra e una barretta
di cioccolato nella tasca dei pantaloni. E non so dove andrò a parare.”
Williams fa questa valutazione senza ansia, più con felice
indecisione. Per ora, comunque, il suo sguardo non si distoglie dal titolo di
sovrano del pop.
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